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Un'immagine della SS. Annunziata
a Roma
15 maggio 2016
Camilla Virginia Savelli Farnese e le Oblate Agostiniane di Santa Maria dei Sette Dolori
Una copia della sacra immagine della SS. Annunziata di Firenze si trova sull’altare della cappella di destra della chiesa di Santa Maria dei Sette Dolori a Roma. Mario Bosi ne parla nel libro dedicato alla serva di Dio “Camilla Virginia Savelli Farnese fondatrice del monastero e della chiesa delle Oblate agostiniane” che qui ebbero residenza (Roma 1953); alcuni autori vogliono questo quadro come una copia di Guido Reni da un originale del Beato Angelico conservato a Firenze. Però, come scrive Bosi,“la duplice attribuzione non ha il conforto di alcuna documentazione, né regge alla critica più elementare, per cui a nostro giudizio, la tela è libera riproduzione, relativamente recente, di opera di autore fiorentino del secolo XV. Si noti la testa dell’angelo di fattezze veramente angeliche” (p. 155).
Ma chi era Camilla Virginia Savelli Farnese duchessa di Latera (diocesi di Montefiascone, provincia di Viterbo) che circa nel 1659 istituì la congregazione dei Sette Dolori per la devozione e la conoscenza delle sofferenze della Madre di Dio? Fu una nobile dama, di quelle che nel Seicento, secolo d’oro della devozione, si distinsero nel fondare e dotare monasteri.
Era nata il 26 maggio 1601 a Palombara dal marchese Giovanni Savelli e da Livia Orsini; a vent'anni aveva sposato Pietro Farnese, ultimo dei duchi di Latera, discendenti per linea retta da Bartolomeo Farnese, zio paterno di papa Paolo III. Donna di pietà e devozione, Camilla accompagnò suor Francesca Farnese sua cognata quando quest'ultima uscì dal monastero di San Lorenzo in Panisperna per portarsi nella terra della casata per fondare qui il suo primo monastero. La seguì poi nelle altre fondazioni. Quindi, prendendo esempio della cognata, lei stessa volle istituire a Latera un monastero di fanciulle che già manteneva con i suoi propri beni in una casa particolare. Aveva già fatto venire da Roma gli architetti, quando il marito impedì l'esecuzione di questo progetto, la cui realizzazione aveva promesso al Signore.
Delusa, Camilla si portò a Viterbo dalla beata Giacinta Mariscotti sua parente, figlia di Ottavia Orsini, e da lei ebbe un consiglio saggio e prudente, cioè di fondare il monastero dove avesse potuto, adempiendo così alla promessa nella sostanza, se non era possibile nella forma. Camilla fece suo il consiglio e istituì il monastero a Roma. Qui radunò alcune fanciulle nobili – o forse trasferì quelle di Latera – in una casa posta nella via detta della Lungara vicino a porta Settimiana. La casa però era scomoda e angusta, benché prossima alla Farnesina; nel 1655 quindi fece condurre le giovani alle falde del monte Gianicolo a San Pietro in Montorio dove fino dal 1643 aveva dato principio alla fabbrica del monastero detto dei Sette Dolori o anche di Latera, in ricordo della promessa di un tempo. La prima comunità fu formata da 63 oblate, di cui 43 coriste, 10 coadiutrici, 10 converse e 10 novizie.
Camilla stese quindi le Costituzioni e le consegnò al padre Francesco Guinigi, quinto generale della Congregazione dei Chierici Regolari della Madre di Dio per la revisione e l'eventuale riforma. Chiese anche ai padri di volersi incaricare della direzione spirituale delle oblate, ma fu da essi rifiutata perché proibita dalle loro costituzioni. Quindi Camilla si contentò che i Chierici venissero da Santa Maria in Campitelli saltuariamente nei giorni festivi a predicare nella chiesa dei Sette Dolori e ad ascoltare le confessioni dalle suore. Vide poi le costituzioni approvate da Alessandro VII il 16 giugno 1663, e confermate il 25 marzo del 1671 da Clemente X. Nel 1668 infine la fondatrice costituì il monastero erede universale di tutto il suo patrimonio che comprendeva anche i beni del marito Pietro, morto 13 ottobre 1662, senza figli.
Le oblate professavano la regola di Sant'Agostino e fine principale del loro istituto era di ricevere quelle fanciulle per qualche infermità non potevano entrare in altri monasteri, purché non fossero affette di male contagioso. Quando la suora entrava nel monastero, stava per alcuni mesi sotto la cura di una religiosa e poi per altri cinque o sei era ammessa nel noviziato in abito secolare. Finito l'anno del noviziato, faceva la sua oblazione con l'abito religioso e prometteva ubbidienza secondo le costituzioni e le consuetudini del monastero. Prometteva anche la permanenza perpetua nella congregazione, sebbene potesse uscirne di sua volontà. Infatti queste oblate non facevano voti né solenni né semplici, ma praticavano tutte le osservanze regolari come se fossero vere religiose: recitavano in coro l'ufficio divino e facevano ogni giorno un’ora e mezza di orazione mentale e dopo pranzo un'altra ora di ricreazione in comune. Finita questa osservavano d'inverno un'ora di silenzio e d'estate due ore. Facevano la disciplina quattro volte la settimana ma potevano essere dispensate per indisposizione. Una volta all'anno compivano gli esercizi spirituali, ognuna da sé. Nelle vigilie delle sette feste della Madonna, del Santissimo Sacramento, di Sant'Agostino e i miei tre giorni avanti il Natale, nei tre avanti la Pentecoste, e nei primi quattro di Quaresima osservavano il silenzio che consisteva di non parlare se non di cose necessarie. La loro perfetta vita comune faceva sì che la comunità desse loro le vesti e non potessero spendere alcuna cosa di loro per compiere gli uffici del monastero. Ai digiuni consueti della chiesa aggiungevano oltre alle vigilie delle feste sopra dette, quelli dell'Avvento, delle vigilie di Santa Teresa, di San Domenico e di San Francesco che erano protettori del monastero.
Le oblate non avevano clausura e potevano uscire con la licenza della superiora; non era permesso loro però di andare fuori dalle porte di Roma; con il tempo però furono dispensate dai superiori e visitatori apostolici, fuorché nell'anno Santo. Quando uscivano non potevano andare nelle case di secolari, se non di parenti stretti, oppure in caso di infermità. Ricevevano altresì nelle stanze destinate per l'udienza gli uomini in visita, che erano i parenti di primo e secondo grado o altri mandati da questi mentre dimoravano fuori di Roma. Alle dame era sempre permesso di entrare e di passeggiare nel monastero. Le oblate avevano altre belle pratiche di pietà e recitavano diverse orazioni vocali nelle ore determinate e prudentemente distribuite. L'abito era di scotto nero e consisteva in una tonaca, legata con una cintura di lana nera, in un velo e un soggolo di tela giallastro senza amido e senza arricciatura. Quando uscivano di casa portavano un mantello che le copriva da capo a piedi e si ripiegava alla cintura con le due estremità della parte anteriore. La fondatrice Camilla non vestì mai l'abito. Morì in una casa contigua monastero il 15 novembre del 1668. Fu sepolta nella chiesa del monastero dove giaceva anche il duca Pietro suo marito.
Il sito da cui è tratta la foto della copia della SS. Annunziata
Autore dell'articolo: Paola Ircani Menichini